Una passione non distrae, una passione riconnette
Torno a parlare di una delle risorse che ogni persona ha in sé, anche chi crede di no (ti piacerebbe... in realtà ce l'hai pure tu). Parlo di adultitudine, fatica scelta e disobbedienza appassionata.
L’estate per me è da sempre la stagione dedicata alla montagna. Non che il resto dell’anno non lo sia, ma è l’estate il clou per me che amo correre, andare per creste e, se capita, arrampicare.
Quest’anno però non potrò godermela perché un infortunio mi blocca sul divano: V metatarso fratturato e stagione andata. Se mi segui già lo sai, se non lo sai ho raccontato l’accaduto qui.
Ci sono rimasta male: ho passato i primi 6 mesi dell’anno chiusa in casa a scrivere – di montagna peraltro – e proprio adesso mi sono rotta.
Eppure, è in questo momento che la mia passione mi viene in aiuto, quindi oggi vorrei parlare – di nuovo – di passioni e di quanto possano esserci utili.
La passione è un’energia
Inizio col dire che lo scopo ultimo delle passioni non è distrarci, è riconnetterci.
Perché una passione è l’espressione di un’energia interiore che, nonostante il logorio della vita moderna, non si è spenta. È lì a dirci che noi siamo anche altro: altro e oltre. Altro e oltre i ruoli, gli impegni, le scadenze, il fare produttivo, gli obiettivi da raggiungere, le incombenze e le urgenze – o presunte tali – che costellano la nostra quotidianità.
Ogni persona porta in sé questa energia.
Fa parte del pacchetto con cui veniamo al mondo.
Nell’infanzia abbonda e straborda. Crescendo non si esaurisce, ma arrivano anche altre forme di energie a contendersi spazio e attenzioni. È il prezzo del diventare grandi.
Ma se, crescendo, lasciamo che la nostra energia-passione si spenga significa che, più o meno consapevolmente, rinunciamo a una parte essenziale di noi.
E come se non bastasse, tradiamo il diventare adultə, cioè persone in grado di prendersi cura di sé, di fare scelte consapevoli, sane e lungimiranti, di integrare i diversi piani dell’essere: ragione, emozioni, azioni.
Avere una o più passioni è espressione di questa energia e consapevolezza: è una scelta, intenzionale e non più gratuita.
Non averne, o non riconoscerne alcuna, significa che c’è da ripristinare il collegamento, riaccendere la fiamma.
È possibile: la nostra capacità di appassionarci, non scompare, ma, a un certo punto, chiede di essere ri-contattata e alimentata.
Una fatica che scegliamo
Il filosofo Bernard Suits descrive lo sport come l’accettazione volontaria di ostacoli non necessari.
Io credo che anche una passione, non necessariamente sportiva, rappresenti qualcosa per cui siamo disponibili a fare una fatica non necessaria. Una fatica scelta.
Una fatica che può comportare scomodità, ma non sforzo.
L’andare per monti questa cosa me l’ha insegnata senza se e senza ma: non è uno sport – non nella mia concezione quantomeno – ma di ostacoli e fatica ne offre a volontà. Eppure, ogni volta, è una fatica che abbraccio con gratitudine e gioia.
Che cerco, che adoro sentire addosso anche dopo che sono rientrata a casa.
Perché dietro – e dentro – quella fatica ci sono io.
Disobbedienza appassionata
Avere e coltivare una passione è anche una presa di posizione: è stare dalla propria parte.
È una forma di adultitudine spesso ignorata, addirittura additata e confusa con egoismo, quello malsano intendo. In realtà, solo se ti prendi cura di te e ti abbracci nella tua interezza puoi essere davvero di aiuto o sostegno per gli altri.
E non è una frase fatta, è un dato di fatto!
Ma non basta. Praticare una passione, scegliendo di dedicarle del tempo non residuale, significa opporsi a un sistema che celebra l’efficienza e l’iperproduttività, che misura il valore delle persone nei risultati che raggiungono e che esibiscono.
Un sistema che, diciamolo, avvalla forme di dipendenza socialmente accettabili, inclusa quella dal lavoro.
La passione invece, è un atto di disobbedienza gentile. E appassionata.
Conquistatori dell’inutile, così definiva gli alpinisti Lionel Terray.
L’inutilità è una delle qualità costitutive di una passione.
E vivere l’inutile è forse una delle forme di ribellione più grandi che possiamo fare.
Non è sottrazione, non è assenza – o assenteismo – è una proposta chiara: di cura, di presenza a sé, di partecipazione a qualcosa di diverso.
Quel momento di pausa dalla routine, quindi, ha anche un valore politico. Perché coltivare una passione è un atto di legittimazione della propria interiorità contro un sistema che ci consuma come ingranaggi.
Le passioni ci sostengono
Una passione è il luogo dove possiamo iniziare a coltivare autostima e magari, anche amor proprio. È un laboratorio per molteplici abilità, non ultima quella di saper mettere confini. Perché è un attimo lasciarsi invadere e non aver tempo, ma una passione ti chiede di essere praticata, abitata, vissuta e per farlo è importante che vi sia del filo spinato intorno – e dello spazio dedicato in agenda.
È anche un’occasione meravigliosa di incontro di altre persone, un trampolino al fare comunità, la possibilità straordinaria di sentirsi parte di qualcosa.
E infine, una passione è un rifugio: quando tutto trema o traballa o si fa confuso… una passione è quello spazio dove possiamo ritrovarci, fare il punto, ripartire da chi siamo o, quantomeno, da cosa ci fa vibrare.
Poi certo, una passione potrebbe trasformarsi in una dipendenza o in un nuovo modo di performare a tutti i costi. Se succede, è perché abbiamo dato più spazio a un’altra forma di energia, quella performativa, e abbiamo lasciato che prendesse il sopravvento.
In fondo noi siamo tante energie insieme che coabitano e più o meno cooperano – più o meno. Non è facile coltivare un equilibrio, richiede di vivere in modo incondizionato e questa è la sfida più grande (che merita uno spazio di riflessione a sé).
La passione come spazio interiore
Da tempo ho smesso di pensare alla montagna (solo) come a un luogo da raggiungere per stare bene e ho imparato a coltivare la montagna dentro di me. Ho portato la montagna in pianura e l’ho resa parte della mia vita quotidiana.
Non succede da un giorno all’altro, è un processo. Ma è anche una forma di libertà impagabile.
Oggi, su questo divano che è diventato anche scrivania, libreria e tante altre cose insieme, IO ROSICO! Mentirei se dicessi che non lo faccio. Vorrei essere a balisare la TDH, vorrei organizzare gite, salire all’alba sul Summano e rientrare per la prima call del mattino, vorrei avere le mani sulla roccia e non solo sui tasti. Ma non posso.
#NoResistenza è la mia filosofia*: non mi oppongo perché non serve. Chiariamoci, non sono una fan del pensiero positivo a tutti i costi e non mi riesce al 100% l’arte del "lasciare andare”. Proprio no, io tengo. Ma faccio selezione. E mi chiedo: cosa vuoi fartene di quello che ti è successo? E siccome sopra ogni cosa odio lo spreco, faccio del mio meglio con quello che ho. Né più, né meno. Frattura inclusa, con tutto quello che porta con sé.
E questo l'ho imparato anche andando per monti, dove conta essere essenziali e nell’essenziale c’è tutto ciò che conta. E dove protestare è, letteralmente, energia sprecata.
Aver trasformato la montagna in uno spazio interiore significa avere libero accesso a quella dimensione sempre, e usarla per vivere la quotidianità sentendomi intera (il più possibile). Questo non toglie che io abbia una voglia matta di sgambettare per sentieri, e per fare quella brava mi sono pure attrezzata…
Prendersi cura di sé è solo il primo passo
Se pensi che la cura di sé abbia come scopo ultimo sé, beh… sappi che non è così.
Anche di questo ne parliamo a parte. Ma presto. Intanto ti lascio con le parole di Martin Buber:
Cominciare da se stessi, non finire con se stessi;
prendersi come punto di partenza, ma non come meta.
Un po’ di fatti miei (non lavorativi)
Da fine luglio il mio libro Fidati che c’è tutto, sarà in prevendita. Di cosa parla? Di montagna, di passioni e di cambiamento consapevole: di come rendersi partecipi al proprio benessere. Estote parati.
Sto finendo di rileggere un libro che ormai ha 15 anni e lo trovo molto più utile adesso di tanti anni fa. I doni dell’imperfezione di Brené Brown è attuale, profondo e molto concreto. Te lo consiglio.
Sul fronte narrativa (l’estate è anche narrativa per me) segnalo Alice Basso, scoperta grazie a quelle due personcine adorabili che sono Malou e mia sorella Arianna. La amo tanto. Sto leggendo la trilogia di Vani Sarca e poi mi aspetta Le 27 sveglie di Atena Ferraris.
Ma prima delle 27 sveglie ho un appuntamento – quasi amoroso – con Nanni Settembrini, la guida alpina protagonista di alcuni romanzi di Enrico Camanni, è uscito La bandita e l’ho acquistato al volo, in stile quattordicenne che deve vedere il tipo che le piace. Uguale!
Il 20 luglio suonano i Modena a Vicenza: è il nostro concerto di questa estate e quindi ci saremo. Io e mia sorella Arianna saremo quelle che cantano a squarciagola. Parco delle fornaci. Se ci sarai, birretta!
Ho perso il primo incontro, ma domani (lunedì 14) sarò in Villa Fabris a Thiene per il secondo appuntamento di TalkOut. Nicole Zavagnin intervista la giornalista Marta Ciccolari Micaldi, esperta di cultura americana. Saremo io e i popi, se ci sarai, birretta.
A proposito di birretta: ho scoperto le birre analcoliche. Ora, prima che tu faccia la faccia schifata (scusa il gioco di parole), sappi che ce ne sono alcune di buone. E dopo aver ascoltato la puntata del podcast Un pasto alla volta, dedicata all’alcol, ho deciso di ridurre. Lo so che la quantità consigliata è zero (zero alcol), per il momento riduco e le birre 0,0 (al Prix c’è la Corona) sono una buona alternativa. Insieme al ginger beer che però per me resta un po’ dolciastro.
Finito.
Grazie per aver letto fino alla fine.
Torno, non so quando ma torno.
Grazie anche per questa puntata, Roberta! E quando sarai di nuovo pronta per i sentieri, bisognerà fare una camminata alle Pale di San Martino, visto che nel mio curriculum escursionistico ancora manca 🙂.
Ti leggo oggi per la prima volta, Roberta, e mi accorgo di quanto ciò che dici possa - e debba - essere trasferito anche nella scuola, nello studio. Quanto dovrebbe diventare l'habitus non solo degli studenti ma anche dei docenti, per i quali lo STUDIO deve essere la PASSIONE NECESSARIA. Per sé, prima di tutto, e dopo - quindi - per i loro studenti. Esattamente come dici tu! Grazie.