Progetta un rientro disubbidiente
Un numero dedicato al rientro, affinché non rimangano solo buone intenzioni. Perché lo so che ne hai da vendere, ma sappiamo entrambə che si frantumeranno già nella prima settimana di tran-tran.
Ti capita mai di arrivare a fine ferie e dire: io non ci voglio tornare!
Non ti riferisci necessariamente al lavoro, ma alla o al te pre-ferie: a quella persona dominata da stanchezza, nervosismo, ansia, affaticamento cognitivo da incastri, esaurimento emotivo da ansia, scadenze e partite di tennis tra dopamina e cortisolo…
Per anni mi sono frantumata al rientro dalle ferie, io e le mie buone intenzioni: consapevolizzavo un sacco e poi rientravo nella ruota del criceto.
Due requisiti: riconoscere il sistema e cambiare abitudini
Su settembre vogliamo scaricare tutta la consapevolezza sperimentata in vacanza – chi ne ha fatte – ma la consapevolezza da sola non basta.
Io ho trovato utile osservare e riconoscere, separare e distinguere i diversi piani.
Da un lato ho dovuto riconoscere il sistema nel quale viviamo, dall’altra le mie responsabilità, le mie scelte e le mie contraddizioni.
Ecco in sintesi cosa ho messo a fuoco fino ad oggi.
Subiamo, chi più e chi meno, un sistema (non amo essere generica ma sistema mi pare la parola più giusta). Questo sistema ci porta a essere persone che producono – non per sé – e consumano – solo apparentemente per sé.
Riconoscere il sistema è fondamentale. Pillola rossa.
Riconoscere il sistema significa accettare che viviamo in modo condizionato, anzi che viviamo in una realtà che ci vuole condizionatə.
Un sistema che ha delle precise aspettative rispetto a ciò che dobbiamo e non dobbiamo fare, sentire, pensare, credere ed esprimere.
Questo a livello macro.
A livello micro siamo un concentrato di abitudini e di automatismi.
Le nostre abitudini sono il vero campo da gioco.
Solo se cambiamo abitudini, cioè se modifichiamo il modo in cui interagiamo con l’ambiente – le persone, gli eventi, i cambiamenti – possiamo ottenere risultati diversi e modificare come stiamo e come ci sentiamo.
Indipendentemente dal sistema?
Ovvio che no! Ma è comunque un buon inizio.
Il sistema non lo cambi tu, non lo cambio io, ma al sistema possiamo disubbidire, insieme!
È questo il suggerimento per il tuo rientro: trova il tuo gesto disubbidiente verso il sistema, uno solo, anche piccolo, e inseriscilo nelle tue abitudini.
Disobbedire non significa smetterla con le buone maniere, ma con le buone intenzioni
Disobbedire non è solo scendere in piazza o esprimere dissenso a voce alta – cose che vanno benissimo, sia chiaro.
È anche cambiare le proprie abitudini, inserire nuovi rituali, rifiutare di vivere solo secondo le regole del consumo, fare spazio e non correre a riempirlo.
Ma non solo, nell’eredità che ci ha lasciato Michela Murgia, la disobbedienza era ed è uno dei suoi pilastri – insieme alla non-neutralità –: fate quello che vi fa bene, diceva, a prescindere da quello che vogliono o pensano gli altri.
Dovete piacervi, non compiacere!
Mi sono accorta che per piacermi devo fare dei passi indietro.
E per passi indietro non intendo arretrare, ma ritrovare e integrare parti di me che ho perso per strada, anche pezzi di radici.
Fare passi indietro, in alcune situazioni, è un vero gesto di disubbidienza.
Chiariamoci: non ho la pretesa di cambiare tutto, non il sistema, ma nemmeno tutta la mia vita, che a quel sistema è comunque legata.
Quello che cerco è una sempre maggiore coerenza: un allineamento tra quello che penso, sento e faccio. E desidero sviluppare abbastanza compassione per accogliere le mie contraddizioni ma altrettanta determinazione per evitare di partire per scalare le montagne e poi fermarmi al primo ristorante (cit).
Come dice uno dei miei maestri: “obiettivi alti, aspettative basse e impegno costante”.
Vale anche nella disubbidienza consapevole.
Quale disubbidienza vuoi portare nel tuo rientro?
Io ho scelto l’orto: l’orto è il mio modo per prepararmi a un inverno diverso, per sottrarmi, almeno in parte, al logorio della vita moderna e connettermi di più con me, con le mie radici, con la natura e con le stagioni – ci provo ehhh, no so se ci riesco ma ci provo.
Che poi, a proposito di stagioni: a me sembra che ce le siamo proprio dimenticate, e non parlo di riscaldamento globale, parlo del fatto che siamo l’unico animale che si riposa quando la natura suggerisce di lavorare e diventa iperproduttivo quando tutto il resto rallenta.
Pensavo a questo ieri mentre vangavo per ampliare l’orto e fare in modo di essere un po’ meno dipendente dai supermercati (questa estate è andata piuttosto bene).
Ho anche ripreso, dopo anni, a fare la marmellata… sono cose piccole, ma solo apparentemente naif, anzi, si mangiano pure!
Sono anche un modo per ancorarmi al qui ed ora e per tenere allenate delle competenze che, a non usarle, andrebbero perdute, e non di meno, per tenere viva una tradizione, dei ricordi e un’eredità che giorno dopo giorno, in questo mondo, diventa sempre più evanescente – quella delle mie tradizioni contadine.
Ecco altre pratiche disubbidienti che ho introdotto negli ultimi anni:
lo slot di tempo quotidiano per me e solo per me – sì, ci riesco quasi ogni giorno
le fughe, anche brevi, in montagna proprio quando pare che io non abbia il tempo di andarci – con la fortuna di averi i primi pendii a 5 minuti da casa
no notifiche, tranne whatsapp – e molti gruppi sono comunque silenziati – e Morning
progressiva riduzione delle scelte non importanti, #AncheMeno*
gratitudine come non ci fosse un domani
Sono certa che ogni persona possa scegliere una piccola abitudine o pratica o rituale disubbidiente da portare con sé al proprio rientro e da nutrire e proteggere come si nutre e si protegge la pasta madre.
Di cos’è fatta la tua pasta madre?**
Non limitarti alle intenzioni, dai un nome al tuo gesto disubbidiente, trasformalo in un’azione concreta e riconoscibile.
E metti in campo determinazione, fidati che ne hai!
Fidati che c’è tutto!
*Naturalmente il lavoro più grande sta nel riconoscere la non importanza di tante scelte.
**Che potente questa metafora e come mi vengono bene quelle col cibo…
La newsletter finirebbe qui, ma ho scritto una cosa ieri, dopo aver vangato tutto il giorno, e la incollo qui sotto.
Non è solo un orto, è una visione e una lista
Quando vango, io odoro come odorava mio nonno quando tornava dai campi, e come odora mio papà.
Ce l’ho chiaro quell’odore, l’ho sentito per tutta la mia infanzia: odore di terra, sole e sudore, ma non il sudore della palestra, o della corsa… è il sudore di chi lavora la terra. È un odore buonissimo.
In quell’odore ci sono le mie radici, famiglia di contadini – non di agricoltori, ché a casa mia i campi erano un secondo lavoro e di fatto non si smetteva mai di lavorare –, un’eredità preziosa che spero di trasmettere in qualche modo ai miei figli.
Inciso: ai ragazzi continuo a ripetere che due sono le cose da imparare benissimo:
a usare la testa e a pensare con la propria testa
a fare con le mani*** – ci sono un sacco di cose che si possono fare con le mani, non solo coltivare
A muoversi in alto-alto e in basso-basso.
Ma torniamo a bomba, perché coltivare? Mia mamma cuce, mia nonna cuciva, l’altra era magliaia… io invece coltivo. E allora, #FallaUnaLista
Lista di buone ragioni per cui coltivo:
per la verdura, per non doverla comprare – e io ne mangio davvero tanta
per agire con responsabilità alcuni miei privilegi: un giardino discretamente grande, un corpo che funziona, delle conoscenze che mi sono state tramandate senza che io lo chiedessi
per mettere in campo il mio corpo ed evitare che sia solo un involucro
perché ci sono molti modi per fare esercizio fisico, e ai pesi – che pure amo – preferisco la vanga
perché l’abbronzatura da vanga è migliore di quella da ciclista
per disubbidire al sistema che mi vuole orientata alla comodità, al consumismo, a una produttività che, per lo più, non è per me – già detto
per nutrire, non solo di montagna, la mia energia-passione – quella di cui parlo ampiamente nel nuovo libro
per ricordarmi e onorare ciò da cui provengo
per l’odore
per i piedi nella terra appena vangata
per stare in natura e per stare con la natura, è la mia dimensione preferita
per riavvicinarmi alle stagioni – collegato al punto sopra
per quel piacere unico di quando tiri una radice profonda e senti che viene senza spezzarsi, che soddisfazione
per imparare: l’apprendimento mi gratifica tantissimo
per educare i miei figli con l’esempio e non solo con le parole
perché ora et labora, e in orto, così come su per un pendio irto, succede proprio quella cosa lì
perchè il futuro mi spaventa e non amo la direzione che abbiamo preso a livello globale e sento il bisogno di radicarmi
perché è più lunga la parte del dare che quella del prendere, c’è più processo che risultato, più serotonina che dopamina (su questo ci torno un’altra volta)
perché mi genera piacere
*** Usare le mani non mi sembrava la dicitura migliore, meglio fare con le mani

Per oggi è tutto.
Prima di lasciarti ti ricordo che è in uscita Fidati che c’è tutto, il mio libro dedicato al cambiamento consapevole, all’energia-passione e alla crescita personale.
Un libro pieno di piccole e grandi disubbidienze. Esce il 9 settembre ma lo puoi pre-ordinare già ora.
Grazie per avermi letta fino a qui, che regalo!
Torno presto.
Nel frattempo… Fidati che c’è tutto





Un bellissimo articolo. Letto d'un fiato con grande piacere. Ci siamo incontrate ormai tanti anni fa a qualche FreelanceCamp e spero di avere ancora l'occasione di rivederti.
"Invidio" tanto il tuo orto, un po' meno la fatica, ma in fondo anche un po' quella perché è fatica ben riposta!